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Imparare ad ascoltare il corpo in profondità per sciogliere blocchi e tensioni

Imparare a sentire cosa c’è sotto la pelle.

Rossella Denicolò da la Repubblica delle Donne

Tutti i terapeuti corporei più sofisticati hanno questa capacità: usano le mani come strumenti sensibili in grado di leggere le differenze tra un tessuto corporeo e l’altro.
Per raggiungere questa raffinatezza quasi artigianale sono necessari anni di lavoro, ma è anche vero che tutti possono sviluppare talenti tattili e godere di tutti i benefici e sono tantissimi che vengono da un contatto che nutre.

La scuola dei Rolfing® ha messo a punto una serie di workshop aperti anche a chi non è massaggiatore dedicati proprio allo sviluppo di questa sensibilità. Si chiama Touch, Il linguaggio dei tocco.

«Quando pensiamo al senso dei tatto generalmente ci fermiamo alla pelle, al nostro involucro» spiega Paola Volpones insegnante internazionale di Rolfing.

È in effetti il primo tessuto che incontriamo, quando appoggiamo la nostra mano sul corpo. Se aggiungiamo però a questo contatto anche una leggera pressione, percepiamo qualcosa di più morbido sottostante la cute: il tessuto adiposo.

Toccare usando il peso.

Per sentire sotto la pelle è necessaria una attenzione molto focalizzata. Paola Volpones spiega come sia importante evitare ogni tensione: «Quando incontro i tessuti sottocutanei non uso lo sforzo muscolare, ma il mio stesso peso. Se tocco un braccio, sento la pelle, sprofondo nel tessuto adiposo, poi aggiungendo un po’ di pressione incontro come un limite, qualcosa che resiste, una sensazione di elastico e avvolgente. È la fascia connettivale. Se vado oltre la fascia percepisco invece qualcosa di più polposo, il muscolo, e infine la consistenza solida dell’osso».

Il linguaggio dei Touch non si ferma solo alla trama e alla consistenza dei diversi tessuti. «Quando sento le ossa di un cliente ho la percezione anche dei mio scheletro», spiega Paola Volpones. «Sento la solidità. Diversa è la sensazione quando sono sulla fascia che è più fluida, e non ha una direzione precisa come invece hanno i muscoli Questo è un principio fondamentale dei Touch: essere consapevoli dei tessuti che stiamo contattando partendo dal nostro stesso corpo. Il tessuto adiposo di un’altra persona, per esempio, lo incontriamo più facilmente sentendo i cuscinetti morbidi dei nostri polpastrelli. Lo stesso vale per muscoli e ossa: ogni tessuto possiede quindi delle qualità specifiche e richiede un tocco speciale. Se, per esempio, vogliamo toccare un nervo utilizziamo la sensibilità della punta dei polpastrelli, e i movimenti saranno così più specifici e concentrati.
La pratica del Touch insegna insomma che quando andiamo sotto la pelle incontriamo strutture corporee diverse che possiamo contattare usando stati di coscienza diversi. La fascia, per esempio, richiede lentezza e uno stato quasi medítativo. E uno dei tessuti su cui si concentra molta parte dei lavoro dei rolfer.

La fondatrice di questo metodo, Ida Rolf ne parlava come del “l’organo della forma”, Questo tessuto è infatti una rete tridimensionale che collega ogni singola parte con tutte le altre. Funziona un po’come un maglione: se viene tirato un filo sulla spalla, tutta la forma si modifica. Ed è proprio la connessione di fibre elastiche a rendere possibile la percezione dei corpo in tutte le direzioni, sentire anche dove si concentrano tensioni». Un carico o un’attività costante, per esempio, provocano una certa fissità nella direzione delle fibre della fascia. Ed è possibile percepirlo con chiarezza attraverso le mani: la sensazione è come di un fiume che a un certo punto interrompe il suo fluire perché incontra una diga che lo ostacola».



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